Prima o poi qualcuno lo vorrà, capirà che di palazzi così, sul filo del Canal Grande, con giardino, altana, due porte d’acqua, i medaglioni marmorei sparsi sulla facciata come coriandoli, non ce ne sono altri. Qualcuno comprenderà che la bellezza vale più della superstizione, la fama più della maldicenza, e dirà, è un affare, lo prendo.
Nell’attesa, Ca’ Dario immalinconisce, raccolto in se stesso come in preghiera, e la possibilità di trovare un acquirente grazie agli alti contatti di Christie’s sembra seguire la storia tormentata dell’edificio, prima desiderato, poi tenuto a distanza.
Il palazzo, riapparso sul mercato la primavera scorsa al prezzo di 18 milioni di euro e mostrato al mondo in un video di Romolini Immobiliare, non figura più nel sito dell’agenzia toscana, né è presente in quello di Dimora Italia Real Estate, rappresentante di Christie’s a Venezia, ora incaricata di seguire la vendita.
Qualcosa, dunque, è accaduto, ma non si tratterebbe dell’auspicata cessione né, presumibilmente, di trattative in corso; piuttosto, dell’opportunità di ritirare l’immobile per non sovraesporlo rischiando di svalutarlo.
Sei mesi dopo, Ca’ Dario ritorna così nella penombra da dove era venuto con i suoi mille metri quadrati di superficie, le otto camere da letto, gli otto bagni, i salotti, l’androne monumentale, la boiserie, il grande camino in pietra d’Istria, la carta da parati damascata, la fontana moresca.
E certo, in tanti anni più di qualcuno aveva messo gli occhi su questo edificio gotico rinascimentale pieno di grazia, unico a Venezia nel suo genere, per poi lasciar perdere.
Da qualche parte, forse, risuonava ancora l’eco delle parole di Raul Gardini, morto suicida nel 1993, a chi gli fece notare come Ca’ Dario portasse sfortuna. Consapevole che i presagi non esistono perché il destino non manda araldi, Gardini firmò il rogito e rispose: non ho paura.
Nè ebbero paura prima di lui i proprietari che lo precedettero, salvo poi finire non benissimo.
A inizio ‘800 fallì il mercante di diamanti armeno Arbit Abdoll. Una malattia costò la vita, dopo aver abitato il palazzo, al poeta Henri De Regnier. La malasorte sfiorò anche il tenore Mario Del Monaco il quale, dopo aver iniziato una trattativa su Ca’ Dario nel 1964, rimase coinvolto in un grave incidente automobilistico.
Il successivo proprietario americano, Charles Briggs, fu costretto a lasciare Venezia con l’accusa di omosessualità; nel 1970 il conte Filippo delle Lanze morì per mano del suo amante croato Raoul Blasich. E ancora, un tracollo finanziario travolse l’imprenditore veneziano Fabrizio Ferrari proprietario di Ca’ Dario fino all’arrivo di Gardini alla fine degli anni Ottanta.
Nel 2006 il palazzo fu infine acquistato da una società americana in rappresentanza di un ignoto acquirente che ha provveduto al restauro della facciata e al consolidamento strutturale. Sembrava la volta buona e ancora non lo era.