Harry’s Bar, porta d’autore

Erano tutti lì, sera più sera meno, nell’anno di immensa grazia 1958. Arrigo Cipriani era ancora un ragazzo, il padre Giuseppe già un monumento e al banco dell’Harry’s Bar sedeva il mondo. Il caricaturista statunitense Al Hirschfeld era lì anche lui, con matita e taccuino, registrò chi c’era e ne fece il ritratto.

Pochi segni in bianco nero, tirando fuori l’anima di Orson Welles, Ernest Hemingway, Peggy Guggenheim, Truman Capote. L’immaginaria cena collettiva diventò così un disegno capace di raccontare non un anno, bensì un secolo.

Il disegno è stato ora inciso nell’interno della porta in vetro del locale di calle Vallaresso. Una conta di chi passava a Venezia e ci restava, un ricordo a futura memoria. Le collane di Katharine Hepburn, i dentoni di Joe DiMaggio, il cappello di Frank Lloyd Wright. Il banco dell’Harry’s Bar è rimasto lo stesso, così gli sgabelli, le luci che illuminano il bar, le poltroncine basse. Il braccio di un cameriere agita lo shaker sulla testa dei clienti, tutti lì, sera più sera meno.

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  1. Si dice che un padre debba sempre dare per essere felice.
    L’Harry’s Bar di certo ha visto tre sorrisi: Giuseppe, Arrigo e ancora Giuseppe.

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