Finisce così, dopo otto anni e sette mesi, in un giorno di sole, la primavera che avanza, la Biennale Architettura alle porte. Finisce nel modo che i veneziani conoscono bene; il 15 luglio 2018 Coin Excelsior, domani il Fondaco dei Tedeschi, così vicini che quasi si toccano, uniti da un epilogo che sembrava inimmaginabile.

Non sono bastati i 18 milioni di persone entrati nello store del lusso, la moda dispiegata su una superficie di 7.000 metri quadrati in faccia al ponte di Rialto, la scala mobile rosso Ferrari, le commesse con la divisa sempre in ordine, i servizi nei quali ci si poteva specchiare e quella terrazza osteggiata dai puristi della venezianità e fotografata da oltre quattro milioni di visitatori.
Tutto così perfetto, profumato, tutto così vano di fronte a un passivo di 100 milioni di euro che Dfs, la società del gruppo Lvmh che gestisce il Fondaco, ha giudicato non più sostenibile.

Si chiude, non ci saranno tempi supplementari. I saldi silenziosi, affidati al passaparola, senza cartelli sguaiati perché il fuoritutto è da grandi magazzini, hanno svuotato gli scaffali, spogliato i manichini; qualche cliente sarà tornata a casa tutta contenta con un paio di sandali Jimmy Choo a metà prezzo altrimenti imprendibile, però.

Per 3.132 giorni, dal primo ottobre 2016, il Fondaco è stato l’ex palazzo delle Poste di proprietà della famiglia Benetton nuovamente vivo dopo un restauro durato sei anni su progetto dello studio OMA di Rem Khoolaas e costato 35 milioni di euro, operai anche di notte, festa inaugurale e subito i clienti orientali in fila per due con il loro bravo sacchetto dello shopping.

Poi sono arrivati il Covid, la crisi del lusso, i gufi a dire che non poteva durare; e quello che sembrava un investimento da consegnare alle prossime generazioni è diventato una voragine.
Otto milioni di affitto all’anno, lo stipendio di 226 dipendenti, i costi che lievitano, le decisione di cessare l’attività arrivata il 14 novembre scorso quando gli alberi di Natale erano già nella corte.

Insieme alla moda, al design, se ne va il ristorante Amo dei fratelli Alajmo con i divani a righe disegnati da Philippe Starck. S’interrompe la consuetudine di dire, ci vediamo al Fondaco, così come per anni si era detto, ci vediamo da Coin.
La fine di questa immersione nel bello, non accessibile al portafogli di tutti, ma agli occhi sì, trascina via anche gli oltre 200 eventi culturali (tutti gratuiti) che per lo store sono stati un punto d’onore.

Al Fondaco è stato risparmiato il lungo addio del suo vicino di palazzo, chiuso lentamente, un piano per volta, un reparto dopo l’altro, che ha dovuto aspettare sei anni per l’ingresso di OVS e, nell’ottobre scorso, del parrucchiere Aldo Coppola.

Semivuoto, ma intatto fino all’ultimo, dalle 19 di domani, 30 aprile, il Fondaco non esisterà più. Il disallestimento durerà un mese. Le 300 finestre saranno oscurate dai pannelli dell’illustratore Lucio Schiavon il quale, dopo aver riempito di colori i tempi felici, ha saputo dare eleganza anche al congedo: la vista sul Canal Grande, i gabbiani, i tetti di Venezia, poi chissà.