E per primi vennero gli ultimi, i diversi, i queer, gli esuli, gli outsider, coloro che hanno lavorato ai margini, dove erano poco o niente, mentre adesso sono tutto, confusi e felici sotto il cielo che prima li illumina e poi li inzuppa di pioggia, ancora con le mani sporche di colore, le piume da drizzare, la ciotola di quinoa nello zaino.
Stranieri Ovunque, “Foreigners Everywhere”, ma non alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale – curata dal brasiliano Adriano Pedrosa – che li accoglie come mai aveva fatto prima: 332 variamente artisti, talvolta dai nomi impronunciabili, magari non destinati all’eternità, ma fa niente; in arrivo da novanta nazioni e passati in un attimo da invisibili a instagrammabili.
E tra i primi vennero anche le ottanta detenute del carcere femminile della Giudecca, riscattate dall’isolamento, la diffidenza, l’ora d’aria, protagoniste insieme a un gruppo di artisti del Padiglione del Vaticano.
“Con i miei occhi”, e con gli occhi di Papa Francesco che sarà a Venezia il 28 aprile, è il racconto dell’anelito verso un’altra vita possibile per le donne che guideranno i visitatori nel luogo estraneo per eccellenza, dove si entra lasciando fuori il telefonino per vedere meglio, oltre i pregiudizi, senza il filtro del display.
L’attesa delle recluse cessa di essere condizione permanente nel momento in cui dietro le sbarre entrano gli artisti – tra cui Maurizio Cattelan, Claire Fontaine, Marco Perego con l’attrice Zoe Saldana – e i piani si rovesciano. Le carcerate scrivono poesie poi incise su placche di lava smaltata, posano per i ritratti di quando erano bambine, quando tutto era ancora possibile, come una carezza risarcitoria, recitano se stesse in un giorno di ordinaria solitudine.
Nessuno è straniero alla Biennale di Venezia perché tutti sentono di appartenere a qualcosa: mostre grandi o minuscole, eventi, performance magari solo per sentito dire, che si sovrappongono al punto da rendere necessario anticipare le presentazioni alle 8.30 del mattino, cosicché i nottambuli possono restare direttamente svegli.
Difficile sentirsi forestieri persino di fronte alle caverne preistoriche istoriate fotografate da Domingo Millela per la mostra “Futuroremoto” sulle pareti in cocciopesto di Palazzo Erizzo, sede della Fondazione Ligabue, visitabile solo di sera, solo su prenotazione, solo per dieci giorni. Tracce, segni, sagome di animali così lontani, così vicini, come se l’arte moderna avesse fatto un balzo all’indietro di 40mila anni e viceversa.
Nessuno resta fuori dalla porta nemmeno nell’installazione “About Us” di Tracey Snelling curata da Luca Massimo Barbero per The Human Safety Net, alle Procuratie Vecchie. L’intimità nella moltitudine di case lillipuziane è assicurata, le vite degli altri sono le vite di tutti, perché l’inclusione fa parte del progetto.
E per primo venne anche l’atto con il quale si è catapultati in questa vita. Piangono, a modo loro, le donne di Francesco Vezzoli al Museo Correr per la mostra “Musei delle lacrime” con Venice International Foundation, dove i lucciconi a piccolo punto rigano il volto di Madonne e icone pop. Nessuno può resistere al pianto, altrimenti è “Lo straniero”.
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